Gran bella raccolta di racconti di Stephen King, che
l’anno scorso ha festeggiato 40 anni.
Io non sono un amante dei
racconti anzi tutt’altro, forse questa è la terza o quarta raccolta di racconti
che leggo in vita mia, ma c’è anche da dire che se uno pensa che i racconti di
King siano storie brevi si sbaglia perchè i quattro racconti raccolti in questo
libro sono a tutti gli effetti dei mini-romanzi quasi tutti molto famosi tra
l’altro e che negli anni hanno ispirato film di successo come “Le ali della
libertà” o “Stand by me”.
Quindi mi sono approcciato a
questo libro in maniera molto cauta ed incerta, ma devo dire che non ne sono
rimasto affatto deluso. King si conferma, come sempre, un grande cantastorie
moderno, riesce a rendere interessante ogni storia che esce dalla sua penna ed
ogni volta ne sono affascinato ed un po’ invidioso, vorrei avere la metà della
sua creatività e soprattutto capacità di storytelling.
Comunque, dato che i racconti,
come dicevo, sono in realtà mini-romanzi, farò una mini recensione o dirò cosa
mi ha colpito di ognuna di queste storie tenendo però sempre a mente la frase
che introduce le quattro storie e che secondo me fa capire il senso di questo
libro:
“È la storia, non colui che la
racconta”
“L’Estate della corruzione -
Un ragazzo sveglio”
È il racconto del rapporto tra un
anziano tedesco, che vive negli US, ed un giovane ragazzo americano, che in
apparenza fa la sua opera buona, molto americana, andando a leggere qualche
pomeriggio a settimana libri o giornali al buon nonnino solo.
Questa è la premessa, quindi la
storia più noiosa e banale del mondo, ma con King non si può mai dire ed
infatti sin dal principio si scopre che il buon anziano tedesco è un ex SS noto
alla storia per le sue stragi in un campo di concentramento, che, dopo essere
scappato dalla Germania alla fine della guerra, si nasconde in America sotto falso
nome, ma che allo stesso tempo sembra aver superato in vecchiaia la sua follia
sanguinaria che l’aveva reso noto durante la guerra. Ed, allo stesso tempo,
anche il gran bravo ragazzo americano, tutto buoni principi, ottimi risultati
nello sport ed a scuola, è tutt’altro che un angioletto e che avvicina
l’anziano proprio dopo averlo per caso riconosciuto da vecchie foto per quello
che in realtà è. In principio comunque sembra che il ragazzo sia spinto solo da
curiosità, morbosa, ma solo curiosità.
I protagonisti del film "L'allievo" |
Con il passare dei mesi le
chiacchierate tra i due evolveranno in qualcosa di malato ed anche i due
personaggi poco a poco cambieranno facendo emergere il loro lato più oscuro,
deviato e violento.
La cosa che più di tutte mi ha
colpito in questo racconto è la semplice domanda che viene spontanea: il
ragazzo sarebbe diventato comunque come lo vediamo nelle parti finali del
racconto? O quella parte terribile e violenta sarebbe rimasta confinata solo
nel suo inconscio e nei suoi incubi se non avesse incontrato l’anziano nazista?
Trovo che l’evoluzione dei due personaggi sia descritta meravigliosamente e che
la spirale violenta verso l’abisso si inneschi sempre più dopo ogni
conversazione dei due. Il tema principale del racconto quindi è il cambiamento,
il seme della follia presente più o meno in ognuno di noi e che può germogliare
in base alle esperienze che facciamo. Oppure altra interpretazione, quasi
opposta, è come, nonostante una parte di noi disconosca quello che stiamo
diventando, come capita al ragazzo del racconto, quello che siamo destinati a
diventare prima o poi esce fuori indipendentemente da tutto. Cosa ancora più
terribile, la nostra mente o la nostra morale sono del tutto ininfluenti,
diventiamo quello che saremmo dovuti sempre essere ed anzi siamo noi stessi a
cercare incontri ed esperienze capaci di facilitare l’emergere del nostro vero
io.
Trovo spettacolare, per un
racconto che inizia, una frase che King scrive in una delle prime pagine, nel
momento in cui l’anziano signore (ancora non si sapeva, o almeno il lettore
ancora non sa per certo in quel momento, di trovarci davanti ad un vecchio
nazista) sbatte la porta in faccia al ragazzo che insiste per parlargli:
"Fece per chiudere la porta. Todd si rammaricò, tempo dopo, durante le lunghe notti passate insonne, di non essersene andato via in quel momento. La delusione di vederlo da vicino per la prima volta […] avrebbe dovuto bastare. Poteva finire tutto lì, col sottile suono tagliente del chiavistello che, come un colpo di forbici, l’avrebbe tagliato fuori da tutto quello che sarebbe successo in seguito."
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