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Lo strangolatore di Boston, considerazioni oltre l'investigazione

Ho appena terminato di vedere questo film tratto da una storia vera accaduta negli US, precisamente a Boston e dintorni, negli anni 60, la storia dello strangolatore di Boston. 

Il film è sotto il genere thriller perchè racconta una vicenda che vede l’omicidio di 13 donne e la caccia al serial killer supportata dall’ottimo lavoro investigativo di due giornaliste. Dato il periodo storico in cui è ambientato, però, racconta anche molto altro e cioè una storia al femminile, una storia che forse in questo periodo è anche molto comoda per Hollywood ed il mondo del cinema in generale. 
Infatti le vere protagoniste di questo film, a mio parere, sono le donne, sia le povere vittime della violenza sia le due giornaliste, che per passione, coraggio ed amore della verità, continuano il loro lavoro pur dovendo sfidare lo scherno dei colleghi maschi, i giudizi dei parenti ed amici ed infine gestendo le complicate situazioni familiari. 


Quindi la cosa che più mi ha colpito di questo film non è tanto la vicenda criminale, pure molto interessante e complicata (tra l’altro come si scopre nel film in realtà non tutti i 13 crimini sono stati risolti e la persona arrestata come lo strangolatore di Boston è stato realmente associato negli anni 2000 grazie al DNA solo ad una delle vittime), ma la storia personale di queste due donne e le sfide che hanno dovuto affrontare. 

E su questo punto della sfida delle due donne ci sono alcune cose che mi hanno colpito nel film, diciamo almeno tre. 

La prima è il rapporto che la protagonista (Keira Knightley che inerpreta la reporter Loretta McLaughlin) ha con il marito. Nelle prime battute del film infatti il marito si dimostra essere molto moderno, lascia la moglie libera di lavorare ad ogni orario, cosa rara in quegli anni, la difende davanti a sua sorella che cerca di screditarne il ruolo di moglie e madre ed in più occasioni si mostra orgoglioso degli ottimi risultati che la moglie ottiene con il suo lavoro di giornalista. In diverse scene poi si vede il marito impegnato in faccende che normalmente nei film ambientati in quegli anni spettavano alla donna. Quando però il lavoro della donna diventa più rilevante, sotto gli occhi di tutti ed impegnativo in termini di tempo e rischi, l’approccio dell’uomo cambia e molto. E questo fa pensare che in realtà il supporto era sì reale, ma che fino a quel momento l’uomo aveva considerato il lavoro della moglie / reporter come un gioco. Quindi con l’avanzare del film il successo come reporter di Loretta la porterà a cambiare completamente i suoi rapporti familiari. 

Il secondo momento in cui può apprezzare la lotta che le due giornaliste devono portare avanti in quanto donne è nella rappresentazione della redazione del giornale. C’è un forte distacco tra uomini (tanti) e donne (pochissime) sia in termini di spazi fisici in redazione che di articoli scritti. Le donne, Loretta compresa, all’inizio possono scrivere solo articoli rosa o di costume ed ogni loro proposta, comunque rara, di scrivere altro viene rimbalzata con forza. Nel corso del film e della vicenda solo le due protagoniste, Loretta McLaughlin e Jane Cole, riescono a farsi accettare nel mondo dei reporter uomini e qui avviene la trasformazione che poi porterà al mio terzo momento. Le due donne riescono ad entrare nel club “Giornalisti Uomini”, ma per farlo pare debbano letteralmente trasformarsi in uomini, comportarsi come uomini, non essere più viste come donne dai colleghi e per ultimo andare al bar a fine giornata per il drink della buonanotte. 


E così arriviamo al terzo momento, quello della scena finale, quando Loretta, ormai diventata in tutto e per tutto un uomo degli anni 60 (ehehe), la sera accosta l’auto fuori casa e dopo aver visto le luci della televisione accesa dalla finestra decide di ripartire per andare al bar a bere con Jane ed evitare di “affrontare” il marito e le solite discussioni familiari. Questa trasformazione, suggellata da questa scena finale, secondo me, fa capire il fallimento della società di quegli anni e forse anche dei nostri, dove una donna per aver successo nel suo lavoro debba in sostanza trasformarsi in un uomo e sia costretta ad abbandonare la propria famiglia. 

A pensarci bene non credo neanche sia solo colpa della società, ma penso c’entri anche la passione, che può diventare ossessione, e che può portare a darsi altre priorità ed a fare scelte opposte a quelle che si erano fatte in precedenza. Cosa che Loretta farà, perché come si scopre dai titoli di coda, che, come spesso capita nei film americani, ci aggiornano della sorte dei protagonisti, negli anni successivi alle vicende raccontate nel film abbandonerà il marito e divorzierà. 

Quindi un film consigliato, che usa una storia di investigazione per dare un’occhiata alle difficoltà sociali e lavorative che hanno dovuto affrontare le prime donne che si affacciavano caparbiamente in ambienti in quel momento esclusivamente maschili.

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